Assalti all’acufene

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Assalti all’acufene

L’acufene non ha età. E’ un problema che si manifesta anche tra i giovani e di certo con un impatto forte e travolgente. Specialmente quando l’udito è l’elemento centrale del proprio lavoro. Cosa si prova? Come si affronta?  Abbiamo scelto un brano di questo lungo articolo, di LUCA MASCINI – Repubblica 30 Ott. 2018  di cui riportiamo un estratto, perché crediamo possa essere di stimolo per molti.


Il rapper Luca Mascini, in arte Militant A, voce di uno dei maggiori gruppi hip-hop italiani, racconta nel bel prologo del suo libro  “Conquista il tuo quartiere e conquisterai il mondo” la sua sconvolgente esperienza con gli acufeni.

Una domenica di metà gennaio, dopo uno dei miei week­end pazzi sentii esplodermi le orecchie. Mi ero svegliato alle sei di mattina il venerdì, treno da Roma a Viareggio e otto ore nel nuovo studio di Bonnot con le cuffie a palla a registrare la voce definitiva di Fino all’alba, la nostra nuova hit, poi a Firenze concerto fino alle quattro di notte fantastico, zuppi di sudore, sveglia presto, treno, ritorno a casa. La sera, mentre vedevo un film per rilassarmi prima di andare a dormire vicino a mio figlio piccolo, con le cuffiette a volume normale, cose fatte migliaia di volte, al momento di togliermele…Bum!

Crick shhhhhh tztztztztz… Un rumore bianco ininter­rotto soffiava dall’interno dell’orecchio. Il rumore bianco, quel suono formato da tutte le frequen­ze insieme, come un phon, un aspirapolvere, un ruscello o i puntini bianchi e neri della televisione, all’improvviso, senza dolore, come un campo di grilli che cantavano tutti insieme.

Che? Che è? Qualcosa si era rotto. Qualcosa di mai provato prima. Capii subito che era grave ma quella notte andai a letto sperando che passasse da solo, “magari è la stanchezza”, o “il tappo di cerume”, “domani andrà meglio”. Il giorno dopo lo sentivo ancora tutto il tempo, provai qualche manovra con l’olio di cumino, con i “rimedi della nonna”, ma passò un altro giorno e c’era ancora: iniziai a spaventarmi.

Non volevo ammetterlo ma bussava alla mia porta la ma­ledizione dei musicisti: l’acufene. Una cosa che non avevo mai voluto affrontare perché la temevo troppo. Potevano essere state le cuffiette? Oltre al ronzio ininterrotto avevo le orecchie tappate, sentivo ovattato, ma allo stesso tempo le frequenze alte ar­rivavano amplificate in maniera eccessiva: un urlo, la porta della macchina che sbatteva, la finestra che cigolava, rimbal­zavano nelle orecchie come intrappolate per ore. Una tortura.

Andai da un otorino sudando freddo. Mi diagnosticò: otite media acuta. Dieci giorni di antibiotici e cortisone. “Non ti preoccupare ti passa, stai tranquillo, è un virus, torna tutto a posto”. Lì per lì mi risollevai. Con quanta speranza aspettavo l’orario giusto per pren­dere quelle pasticche, cercando un cenno di miglioramento.

Tutto inutile. Dopo dieci giorni stavo come prima. Avevo detto a quel medico che lavoravo nella musica da trent’anni, e che forse era stato un trauma acustico, ma a lui sembrava strano con delle semplici cuffiette. “Anche se…”.

Insistetti per fare delle analisi, mi fece fare l'”audio impe­denza metrica” in un ospedale. Ti mettono in una cabina con delle cuffie (alle quali avevo ormai dichiarato guerra) e ti inviano dei segnali acustici da 125 a 6-8.000 Hz, le frequenze udibili dall’uomo. Se tu senti l’impulso devi alzare una mano, se no, stai fermo. Ogni tanto la dottoressa mi faceva segno come dire… “niente eh?” E io intuivo cosa intendesse.

Avevo un buco nell’udito. Sulla frequenza dove sta la voce, i toni alti, i rullanti e i piatti della batteria, tra i quattromila e i seimila Hz: avevo meno quaranta DB. Quando l’otorino vide i risultati scosse la testa: “Ah…in questo caso…”. “In questo caso?” lo incalzavo tremando dentro di me. “Non si può fare niente”. “Come non si può fare niente?”. “È un danno irreversibile”. “Un danno irreversibile? E allora?”. “Te lo terrai tutta la vita”. “Tutta la vita?”. “Ti devi abituare”. “Mi devo abituare?”. La testa mi girava. “È acufene”.

Acufene. Detto “la tomba degli otorini”. È al di sopra di loro. Non riuscivo neanche a pronunciarla quella parola. Acufene. Rimasi in silenzio, aspettando che mi desse qualche indi­cazione. “C’è di peggio”. Disse così. “C’è di peggio”, e mi accomodò all’uscita.

Erano le cinque del pomeriggio, camminavo da solo per Via Tor de’ Schiavi con la mia cartellina sotto il braccio e mi sembrava di avere una pistola puntata alla tempia. Cento grilli cantavano dentro le mie orecchie a ogni ora del giorno e della notte e dovevo tenerli per tutta la vita! Telefonai a Pol G che aspettava i risultati. “È così Pol… ma non dirlo a nessuno, non me la sento di parlarne, lotterò per migliorare, ma ora non ce la faccio”. Pensai ai miei fratelli e sorelle morte per un momento di distrazione, per un incidente, una malattia. A me era capitato questo. “C’è di peggio” mi risuonava in testa. Non aveva nient’altro da dirmi? Un modo per aiutarmi?

[ … ]

Ora che avrei fatto? Erano trascorse due settimane, poi venti giorni, un mese. Se guardare un film con le cuffiette mi aveva provocato questo non avrei mai più potuto cantare in vita mia. Era finita. Così pensavo. Ed era il minimo. Avessi avuto un po’ di pace per rilassarmi. Non riuscivo a dormire. Mi svegliavo ogni ora. Sistemai un materasso in salotto vicino al frigo perché almeno il rumore del motore si confondeva con il ronzio e mi rilassava. Io che odiavo i rumori di fondo della notte ora li cercavo e non sopportavo il silenzio.

[ … ]

Cos’è? Come viene? Ce ne sono mille tipi, ronzii, fischi, fischi acuti, fischi for­tissimi. Lessi cose brutte, da spavento: molta gente prende gli psicofarmaci per resistere, più sei ansioso più subisci, c’è chi impazzisce, chi si è suicidato. Ho visto lettere di persone che chiedono scusa ai loro familiari per non avercela fatta “che almeno il mio orecchio venga studiato dai medici e serva ad aiutare gli altri”.


Questo lungo brano, nella sua scrittura immediata e diretta, racconta in modo esemplare lo sconcerto e le paure che sommergono chi si rende conto per la prima volta di avere l’acufene.

Ne consigliamo la lettura per intero. E ci piace  sottolineare la frase con cui si conclude:

“Possiamo vincere o soccombere, dipende anche da noi.”

Puoi leggere l’articolo di Repubblica cliccando sul link qui sotto.

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